L’espressione “buon padre di famiglia” è radicata nel diritto civile italiano come criterio di valutazione della diligenza. Tuttavia, riflette una cultura di matrice patriarcale che oggi si scontra con le richieste di una società più inclusiva e rispettosa della parità di genere.
Il linguaggio giuridico italiano contiene molte espressioni maschili che, secondo la logica giuridica, dovrebbero includere anche il genere femminile. L’espressione “diligenza del buon padre di famiglia” ne è un esempio emblematico. Questa locuzione, risalente al diritto romano, è utilizzata in alcune norme del codice civile e rappresenta un modello di riferimento, per misurare il livello di cura, attenzione e prudenza che una persona media dovrebbe esercitare nell’adempiere i propri obblighi contrattuali.
Pur volendo rappresentare un ideale di comportamento astratto e oggettivo è verosimile che il ricorso a una metafora maschile, in particolare alla figura del pater familias, oggi possa trasmettere un'idea di responsabilità e prudenza legata esclusivamente all'universo maschile, escludendo implicitamente le donne. Il rischio è che la percezione collettiva associ la capacità di gestire responsabilmente i propri obblighi solo a una figura maschile.
Consapevoli del carattere controverso dell'espressione, alcuni paesi hanno già modificato le proprie norme nella direzione di una maggiore inclusività: nel 2014 la Francia ha sostituito il “buon padre di famiglia” con una “persona che si comporta in modo ragionevole”, e il Belgio nel 2021 ha adottato il termine “persona prudente e ragionevole”.
Anche in Italia il concetto del buon padre di famiglia è al centro di un dibattito. Da un lato c’è chi ne chiede la modifica considerandola un’espressione ormai superata e non rappresentativa della società moderna. Dall’altro c’è chi mette in guardia dai rischi legati a possibili cambiamenti che potrebbero alterarne il significato giuridico consolidato nel tempo attraverso le interpretazioni di giudici e studiosi, generando potenziali incertezze interpretative.
Qualsiasi cambiamento richiederebbe una riflessione approfondita per bilanciare la necessità di aggiornare il linguaggio con la continuità interpretativa, evitando così il rischio di compromettere l'applicabilità di un concetto giuridico consolidato. La sfida per il diritto moderno sta forse proprio nel trovare formule che sappiano preservare la chiarezza e l'efficacia che il linguaggio normativo richiede e, al contempo, parlare a tutte e tutti in modo universale. Altri ordinamenti hanno già seguito questa direzione, e forse è arrivato il momento di fare lo stesso.
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