*Il presente contributo è stato pubblicato anche su https://lospiegone.com/2019/12/01/in-lobby-with-eu-il-caso-dei-combustibili-fossili/.
Il nostro percorso d’inchiesta sulle attività di lobbying all’interno delle istituzioni europee si arricchisce con un focus sugli incentivi al settore dei combustibili fossili.
L’Unione europea è sicuramente all’avanguardia in termini di politiche di sostenibilità ambientale. In base a quanto sancito dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), l’Unione dispone delle competenze necessarie all’adozione di strategie mirate per combattere la perdita di biodiversità (Strategia per la Biodiversità 2020), per aumentare la sicurezza in caso di calamità naturali (promotrice del Quadro di Sendai 2015-2030), e per adottare politiche energetiche di transizione verso fonti non inquinanti (EU Climate and Energy Strategy for 2030).
Quest’ultima, in particolare, prevede che gli Stati Membri riducano obbligatoriamente le loro emissioni dovute all’utilizzo di combustibili fossili e che implementino politiche di graduale conversione in favore di carburanti alternativi. Malgrado gli elementi appena citati – positivi e innegabilmente validi -, la realtà presenta un quadro meno chiaro di quello che può apparire inizialmente. Difatti, all’interno dell’Unione il ruolo dell’industria petrolifera e dei combustibili fossili rimane consistente, sia a livello politico sia decisionale. Lo scorso 24 ottobre un importante articolo del The Guardian ha svelato che, negli ultimi 10 anni, le 5 più grandi multinazionali operanti nel settore petrolifero hanno speso oltre 250 milioni di euro in attività di lobbying nei confronti delle istituzioni europee. Molte organizzazioni non governative che hanno reso pubblici questi dati, tra cui Greenpeace e Corporate Europe Observatory, ritengono che questa sia solo la punta dell’iceberg, dal momento che le aziende incriminate tendono a non rendicontare spese simili.
La stessa Unione europea, nonostante gli impegni di trasparenza e di legittimazione delle attività di lobbying – esistono registri ufficiali su quali organizzazioni e aziende siano attive – spesso agisce ambiguamente. Ad esempio, esistono delle agenzie europee strettamente collegate ad attività di finanziamento nei confronti del settore dei combustibili fossili.
All’interno di questa analisi, verranno quindi evidenziate in sintesi le attività di una di queste agenzie, il Research Fund for Coal and Steel, e dell’impresa petrolifera più operosa a livello di risorse spese in lobbying a livello europeo, ovvero la Exxon Mobil.
Il Research Fund for Coal and Steel
Il Research Fund for Coal and Steel (RFCS) è un programma finanziato dall’Unione europea che ha per obiettivo il sostegno alla ricerca e all’innovazione nel settore siderurgico. Il RFCS è stato istituito nel 1994 dall’allora Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), predecessore dell’Ue e rimasta in vigore fino al 2002. Una volta terminata la CECA, il fondo è stato trasferito alla Commissione europea che tutt’ora ne amministra il funzionamento.
Ogni anno viene stimato un budget che varia dai 40 ai 55 milioni di euro destinati a progetti collegati allo sfruttamento di acciaio e carbone, ma anche alla riduzione del loro impatto ambientale e alla sicurezza sul lavoro nelle fabbriche predisposte.
Secondo l’European Environmental Bureau (EEB), al momento ci sono circa 150 progetti interni al RFCS finanziati dall’Unione europea, molti dei quali gestiti dall’Euracoal (agenzia che riunisce le principali imprese carbonifere, celebre per aver chiesto un’estensione dei limiti emissivi a inizio anno) e dal Coal Advisory Group (CAG), gruppo interno alla Commissione europea composto da 17 membri – la maggior parte dei quali appartenenti ad aziende che operano nel settore del carbone (specialmente aziende tedesche, come la RWE). Nonostante il supporto dei progetti debba sempre passare al vaglio della Commissione, sono i membri del CAG che decidono sulle priorità di investimenti e ricerca che dovranno essere finanziati.
La Exxon Mobil
La Exxon Mobil è una multinazionale statunitense che opera nell’ambito petrolifero ed è presente nel mercato europeo con il brand Esso. Si tratta, dopo la Shell, del secondo ente privato al mondo nel settore dei combustibili fossili con un fatturato di circa 290 miliardi di dollari. Al 20 giugno di quest’anno contava un’utile netto di oltre 20 miliardi (dati fortune global). Le cifre che si stimano essere state spese in attività di lobbying sono risibili se confrontate agli introiti: negli ultimi dieci anni infatti il totale ammonta a 37,2 milioni di euro, anche se la somma potrebbe essere in realtà più alta.
Secondo il Corporate Europe Observatory, la Exxon Mobil è una delle aziende più attiva in azioni di lobbying con 27 meeting ufficiali all’interno del Dipartimento per l’Energia della Commissione europea e con più di 400 incontri informali con altri esponenti della Commissione stessa negli ultimi 5 anni.
La multinazionale viene spesso denunciata per portare avanti una propria agenda denominata deny, delay and distract, ovvero “negare, rimandare e distrarre”: mentre la strategia di comunicazione punta al riconoscere pubblicamente i danni del cambiamento climatico, le attività di lobbying dell’azienda promuovono invece una serie di incentivi al mercato del fossile.
A livello europeo, ad esempio, la Exxon Mobil esercita continue pressioni affinché siano le imprese (e non le istituzioni) a stabilire il taglio delle emissioni e lo scambio di quote inquinanti nel sistema dell’Emission Trade System (ETS). Inoltre, essa promuove l’utilizzo della strategia Carbon Capture and Storage (cattura e sequestro del carbonio), dove l’emissione di CO2 viene resa meno concentrata e più dilazionata – ma non eliminata.
L’intensità dell’operato della Exxon Mobil è amplificato dall’attività di lobbying congiunta con altre imprese e associazioni. La multinazionale è membro del Forum europeo dell’energia (EEF), che riunisce deputati di diversi gruppi politici e rappresentanti dell’industria, tra le cui attività si annovera, nel settembre 2018, l’organizzazione di un panel insieme al membro del gabinetto del vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič. In quel caso la Exxon Mobil, insieme ad altre aziende, ha chiesto di rallentare l’elettrificazione dei trasporti a favore dei “combustibili liquidi”, ovvero i biocarburanti.
In aggiunta, la Exxon Mobil è sia parte del Corporate Advisory and Support Group insieme ad aziende come Shell, BP e Repsol, sia membro esecutivo dell’European Chemical Industry Council.
Infine, l’influenza dell’azienda agisce anche in campo accademico: la multinazionale contribuisce finanziariamente presso numerosi think tanks per l’organizzazione di eventi e conferenze sia in Europa sia negli Stati Uniti. L’ultimo istituto coinvolto in ordine cronologico è il Progressive Policy Institute, di ispirazione democratica.
Sempre secondo il Corporate Europe Observatory, la Exxon Mobil ha omesso la sua partecipazione di 15.000 euro al Centro per gli studi di politica europea (CEPS), think tank di Bruxelles che organizza regolarmente eventi su temi in linea con gli interessi di lobbying della multinazionale, invitando il colosso dell’energia a una serie di conferenze.
L’enorme impiego di risorse, l’alleanza con altre imprese e multinazionali e l’influenza ramificata su più livelli rendono molto difficili azioni concrete contro la presa della Exxon Mobil sulle istituzioni comunitarie. Una dimostrazione di ciò si è avuta il 21 marzo 2019, quando il Parlamento europeo ha organizzato la prima udienza pubblica in Europa per denunciare il negazionismo climatico e sui suoi impatti, alla quale la Exxon Mobil si è rifiutata di partecipare.
In seguito a questo fatto, oltre 100 gruppi della società civile e alcuni deputati hanno chiesto al Parlamento europeo di rimuovere la Exxon Mobil dalla lista degli official lobbyists per aver ingannato i politici europei e l’opinione pubblica. Ciononostante, i delegati dell’azienda non sono stati privati del loro accesso parlamentare.
Conclusioni
Come si è avuto modo di vedere, nonostante le importanti politiche in materia ambientale e di sviluppo sostenibile, ancora oggi le azioni di lobbying nelle istituzioni europee da parte delle aziende del fossile hanno ancora un impatto considerevole.
Da un lato vi sono pressioni di multinazionali miliardarie che non hanno difficoltà nell’impiegare capitali e risorse umane per portare avanti la loro agenda. Dall’altro, forse in modo più allarmante, molte attività appannaggio di settori come il carbone vengono svolte proprio all’interno di agenzie europee, rischiando così di entrare apertamente in conflitto con quanto di positivo si è fatto per la riduzione delle emissioni di gas serra e per la transizione energetica verso fonti meno inquinanti.
Matteo Rizzari is a student of Development Economics at Roma Tre University and holds a bachelor’s degree in Politics, Philosophy and Economics as well as a Master’s degree in Management of Sustainable Development Goals. His main interests are sustainability, the study of social systems and complexity, economic geography and international relations. He’s got experience in street fundraising activities and as a trainee at Centro Europa Ricerche in Rome, but one of his main achievements was to successfully teach Italian card games to foreigners during a semester spent in New Zealand in 2016. |
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