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Marchio territoriale – prevalgono i limiti o le potenzialità?

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Marchio territoriale – prevalgono i limiti o le potenzialità?
marchio-territoriale - © Unsplash
Speck e vino, mela e speck, mela e vino. Il marchio territoriale si propone come una soluzione di marketing per dare forza all’export di un territorio. Quali vantaggi può avere una simile strategia? Quali debolezze?

Il Trentino, l’Alto Adige, la Valtellina sono tre di molti casi in cui le autorità politiche ed economiche del territorio hanno lanciato una strategia di export basata sul posizionamento di un marchio territoriale. Speck e mela, grasso e salute – è questo il binomio che può dare sostanza ad una brand identity? Un altro esempio può essere la Svizzera, la cui croce bianca su fondo rosso è per molti un forte brand territoriale. Quali vantaggi può trarre la Svizzera da questa croce bianca, che è contemporaneamente simbolo di un centro finanziario globale, ma anche di uno stile politico che spesso non coincide con valori globali? Una croce che richiama i paesaggi alpini, ma anche prodotti d’alta gamma in diversi settori merceologici – dalla chimica alla tavoletta di cioccolato? Swiss made: che significato si cela dietro questo brand territoriale dei nostri vicini elvetici?

Per capire e mettere a frutto il potenziale di un marchio, un primo approccio può essere quello di stabilire i suoi limiti. Bisogna andare a fondo nella definizione del concetto di marchio, che deriva dal contesto aziendalistico. Un marchio, o in altre parole un brand come si definisce?

Il brand non è un logo
Il brand è una cornice definitoria – un frame – che permette e garantisce unità e continuità dell’estetica formale di un’organizzazione. È molto di più che un logo. Il brand è l’insieme delle capacità comunicative di un organizzazione, di un’azienda.

Il brand non è notorietà
Un brand deve essere apprezzato e desiderato. Per avere un brand non basta essere conosciuti. Bisogna essere riconosciuti. E far sì che anche i clienti si riconoscano nel brand stesso.

Il brand non è mai per tutti
Inclusione ed esclusione sono due funzioni essenziali del brand per il consumatore. Fare parte di qualcosa… di una community, di uno stile di vita…definire la propria identità attraverso il brand.

Il brand non è pubblicità
Il brand è un codice simbolico che esprime i valori, il carattere, la cultura e la memoria di un’organizzazione. Senza comunicazione un brand non esiste, ma un brand non è soltanto comunicazione.

Il brand non è mai al 100% governabile
Ogni brand è frutto di una co-makership con il consumatore. Il brand riesce a sfruttare questo dialogo per coevolvere con il consumatore per rimanere attuale e forte. Spesso da questo dialogo nascono anche nuove opportunità. Il dialogo con il consumatore è a tutti gli effetti una fonte d’innovazione.

Il brand non è frenesia
Nonostante il carattere dinamico che lo connota, ogni brand deve essere considerato come una strategia a lungo termine e deve avere delle aspettative chiare in termini di impatto, stakeholder e benefit.

Il brand è un legame simbolico/comunicativo tra l’identità di un’organizzazione o del territorio e la percezione di questa identità da parte dei consumatori sul mercato. Il brand funge da interfaccia, da filtro tra offerta e domanda, e regola questa reciprocità. Il brand territoriale si caratterizza per una connotazione geografica specifica, ma può e deve assolvere funzioni di garanzia di qualità:

  • gusto
  • ecologica
  • filiera produttiva
  • simbolica (“is it cool?”)
  • territorio
  • design
  • lavorazione

In quest’ottica il brand territoriale compete con diversi brand con precise funzioni e che spesso agiscono non solo a livello nazionale, ma anche globale. Il brand ‘slow food’, per esempio, garantisce la qualità del gusto e della filiera produttiva. IF Design Award segnala al consumatore che sta acquistando un prodotto con un design di eccellenza. Per non parlare della qualità ecologica, dove adesso diversi brand (Ecolabel, EMAS tra gli altri) competono per segnalare prodotti e processi produttivi ecocompatibili.

In altre parole, il mercato è sommerso di brand che coprono in maniera spesso specializzata diversi aspetti funzionali di prodotti e servizi. Dunque il vero problema non è il deficit di comunicazione da parte dei produttori, ma piuttosto la mancanza di attenzione dei consumatori sommersi da messaggi commerciali. Insomma, il consumatore subisce un flusso di informazioni perpetuo e rischia di trovarsi in situazioni di information overload (sovraccarico cognitivo), non sapendo più distinguere quale dei marchi è effettiva garanzia di qualità e nemmeno se un marchio è garanzia di qualità. Insomma, il brand territoriale non ha un fardello facile da portare avanti.

Come uscire allora da questa impasse? Creando una nicchia. La nicchia che può coprire un brand territoriale è quella di creare un legame forte tra la qualità dei prodotti di un territorio e il valore estetico-simbolico del territorio stesso. Questo binomio va oltre la semplice proposta di un prodotto tipico (“anche noi produciamo del vino”), ma deve piuttosto essere in grado di motivare i diversi operatori a fare delle scelte che portano all’eccellenza, che mettono in scena il territorio con il prodotto e non il territorio e il prodotto. Creare delle sinergie, che generano un’estetica del prodotto che va oltre al valore d’uso intrinseco del semplice prodotto. Definire un filo rosso tra i prodotti e dei prodotti stessi con il territorio – creare uno stile di vita. Per essere in grado di supportare questa funzione estetico-simbolica, il brand deve essere espressione della tradizione e dell’innovazione territoriale, mantenendo sempre al centro del brand l’autenticità. Un’autenticità che deve coprire tutta la catena di valore del prodotto, dalla scelta delle materie prime fino ai canali di distribuzione.

A tale fine, il brand territoriale deve essere considerato non soltanto come un risultato, ma anche e soprattutto come un processo per creare un sistema di valori comuni a un territorio. Il marchio assolve così una funzione interna oltre che esterna, perché permette di allineare le strategie di diversi stakeholder del territorio e non focalizzarsi solamente sulla commercializzazione finale del prodotto – ruolo, quest’ultimo, del branding come disciplina del marketing tradizionale.

In questo senso, nel lungo termine, un marchio territoriale forte potrebbe influenzare le reti di relazioni tra aziende di uno stesso territorio, generando opportunità di cooperazione a vari livelli. Ma potremmo spingerci oltre: la definizione di un sistema valoriale territoriale potrebbe condizionare anche le scelte insediative per le aziende del futuro, favorendo settori o standard produttivi che rispecchiano quello stesso sistema.

Nonostante questi punti di forza del marchio territoriale, bisogna sempre considerare che la governance di un brand territoriale è sempre molto più complessa e limitante di quella di un brand aziendale. Ciò è legato al fatto che il marchio territoriale rimane un bene collettivo, i cui prodotti sono in mano non al gestore del marchio, ma alle aziende produttrici. L’influenza del marchio territoriale sulle singole scelte aziendali è quindi soltanto parziale e si sviluppa più come opportunità strategica che come imposizione coercitiva.

Autore: Manuel Demetz, Anna Scuttari

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Citation

https://doi.org/10.57708/b22008499
Demetz, M. Marchio territoriale – prevalgono i limiti o le potenzialità? https://doi.org/10.57708/B22008499

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