È pensabile che sia la natura a risolvere alcuni dei più complessi problemi delle città?
Un pezzo di verde, un pezzo di giustizia: attraverso gli orti comunitari, anche che abita in quartieri svantaggiati può godere della natura e di tutti i suoi benefici. A New York, il giardino comunitario 103rd Street Community Garden di East Harlem è stato progettato dai residenti del quartiere e realizzato con un investimento contenuto e molto volontariato.
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Facciate verdi e giardini pensili per rinfrescare deserti di cemento. Zone umide come bacini di raccolta dell’acqua e habitat per animali e piante. Pareti di muschio che catturano le polveri sottili. Le città di tutto il mondo stanno fronteggiando i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità con le cosiddette “soluzioni basate sulla natura”. Un grande progetto di ricerca europeo lavorerà su come sfruttarne al meglio il potenziale, con un obiettivo sociale ambizioso: a beneficiare di queste soluzioni dovrebbero essere in particolare le persone che vivono in condizioni svantaggiate.
Vi siete mai chiesti che aria respirano le persone influenti? Come sono i quartieri in cui vivono? Ci sono giardini con alberi secolari e uccelli che cinguettano al mattino? E come sono i loro fine settimana? Si rilassano nella loro seconda casa immersa in una campagna idilliaca? Sono queste le domande che ronzano nella mente dopo una chiacchierata con la biologa ed esperta di pianificazione territoriale Sonja Gantioler. E altre ancora: come viaggiano queste persone quando non circolano sulle strade trafficate con le loro auto? In aereo? Come raggiungono la loro seconda casa? Porsi questi interrogativi fa emergere, secondo Gantioler, una “stonatura” che purtroppo non caratterizza solo le nostre città, ma tutto il mondo: le persone che con il loro stile di vita causano la maggioranza delle emissioni inquinanti, non sono tra quelle che ne subiscono gli effetti nel modo più pesante, ma sono tra quelle più influenti nel decidere le politiche ambientali che le regolano e che pianificano lo sviluppo urbano. Questo fatto è, in modo piuttosto evidente, un’ingiustizia.
La giustizia – riferita alla distribuzione di beni ambientali – è un tema centrale nell’attività di ricerca di Sonja Gantioler. Oltre a biologia, ha studiato a Vienna economia ambientale e scienze politiche. La sua tesi di laurea analizza come garantire un accesso equo allo spazio ecologico in città. Ora l’interesse della ricercatrice per i sistemi ecologici e sociali è confluita in un nuovo e ampio progetto europeo: nei prossimi cinque anni, sette città europee realizzeranno delle soluzioni basate sulla natura - da definizione: interventi che puntano sulla natura per affrontare le sfide della società - scegliendo, quando possibile, un approccio che punti a risolvere situazioni di disuguaglianza sociale.
La natura non performa.
Sonja Gantioler
In generale, le soluzioni basate sulla natura sono progettate per adattarsi e proteggersi dagli effetti dei cambiamenti climatici, ridurre le emissioni, aumentare la biodiversità e migliorare il benessere delle persone. A guardare bene, gli esempi di soluzioni adottate in tutto il mondo sono in grado di fornire una varietà di servizi anche più ampia. La riforestazione e la conservazione dei boschi possono prevenire i fenomeni di erosione e assorbire il carbonio: negli ultimi 25 anni nel bacino del Poyang, il più grande lago d’acqua dolce della Cina, queste misure hanno ridotto l’erosione del suolo della metà, hanno aumentato di cinque volte l’assorbimento di carbonio e di sei volte il reddito netto degli agricoltori. Sulle coste, gli ecosistemi come le barriere coralline, le praterie di posidonia e le mangrovie proteggono da eventi meteorologici estremi e dall’aumento del livello del mare, con benefici dimostrati da studi scientifici.
Nelle città le soluzioni basate sulla natura puntano a combattere problemi sempre più acuti, come le isole di calore, le inondazioni che seguono le piogge intense, l’inquinamento atmosferico e la diminuzione della biodiversità. A seconda del luogo e del contesto, ogni soluzione ha un obiettivo prioritario, ma la cosa sorprendente è che non risolve mai un solo problema. Per esempio, il verde sui tetti, sulle facciate o per strada rinfresca l’ambiente grazie all’ombreggiatura e al fenomeno della evapotraspirazione. Allo stesso tempo immagazzina l’acqua durante le forti piogge per rilasciarla in modo graduale – si è parlato molto del concetto di “città spugna” in riferimento all’alluvione che ha colpito la Germania in estate. Le aree verdi sono anche habitat per uccelli, piccoli animali e insetti, favoriscono quindi la biodiversità. Le foglie catturano i particolati e gli ossidi di azoto. I tetti verdi offrono spazio per alveari (come sul tetto della fiera di Bolzano) o per orti. Se posizionati in punti strategici sulle strade, gli spazi verdi possono favorire una guida più lenta e, infine, strade più verdi rendono le persone più propense a camminare o ad andare in bicicletta, sane abitudini che giovano alla salute e all’ambiente. E la cascata di effetti positivi potrebbe continuare ancora: dall’importanza essenziale delle api per l’ecosistema, ai benefici delle verdure coltivate a casa, al valore ricreativo del giardinaggio e così via. "Queste soluzioni non sono efficaci se vengono adottate per assolvere un’unica funzione; non vanno paragonate a soluzioni tecnicamente avanzate che in termini di singola performance sono sicuramente più valide. La loro forza è la varietà dei benefici che creano e vanno pianificate senza ma perdere di vista questo concetto", spiega Gantioler. Questa caratteristica complica le cose ai ricercatori nella scrittura dei progetti, i bandi richiedono infatti degli indicatori di performance per ogni soluzione, ma la natura, spiega Gantioler, non performa.
Quanto costa permettere ai bambini di giocare tra i cespugli di un terreno incolto urbano?
Le soluzioni che saranno adottate nelle sette città sono ancora solo abbozzate. Partire con interventi già pianificati nel dettaglio sarebbe contro la filosofia del progetto, pensato per non perdere mai di vista l’equità. Prima di iniziare la pianificazione si pone quindi una questione di rilievo: a chi si chiede quali siano i bisogni contingenti? A chi viene data facoltà di esprimere le proprie opinioni? "Le persone che abitano in uno spazio e lo vivono ogni giorno sono gli esperti più competenti da interpellare". La sfida, secondo Gantioler, è progettare i processi di partecipazione in modo che non siano sempre gli stessi gruppi e le stesse generazioni ad avere voce. Sarà necessario quindi bilanciare l’opinione di chi vive in un’area con una bassa concentrazione di particolato e per questo non ha una percezione così realistica dei danni da inquinamento. "Servirà ragionare sulle dinamiche di potere, rompere le strutture, o meglio, almeno avviare questo processo…", ride. "Si tratta di un compito piuttosto ambizioso, una visione a cui puntiamo". Alla richiesta di nominare una città modello per l’approccio partecipativo, Gantioler cita New York: "È stata creata una piattaforma per identificare alcune aree dismesse della città e il sistema ha permesso alle persone di riunirsi per progettarne insieme lo sviluppo. In questo modo sono stati creati orti comunitari o semplicemente spazi liberi per far giocare i bambini.
È possibile quantificare il valore di queste soluzioni? Anche se gli esperti riescono a determinare in modo preciso il valore monetario dei servizi forniti dagli ecosistemi, su alcuni aspetti sono ancora incerti. Per esempio: quanto costa permettere ai bambini di costruire capanne tra i cespugli di un terreno incolto urbano invece di passare ore alla playstation? Nella quantificazione andrebbe considerato il fattore tempo che in questi calcoli ha un ruolo cruciale; i benefici delle soluzioni basate sulla natura si manifestano infatti molto dopo il momento in cui vengono sostenuti i costi per realizzarle. Uno studio ha concluso che a causa di questo mancato allineamento temporale, i benefici delle soluzioni naturali sono quasi sempre sottovalutati nelle analisi e questo scoraggia gli investimenti in questo settore.
Tuttavia prevale un consenso diffuso sul fatto che queste soluzioni siano molto convenienti dal punto di vista sociale, visto che permettono di ottenere un risultato significativo con un impegno economico relativamente contenuto. Ma la convenienza riguarda anche chi si fa carico dell’investimento: realizzare tetti e facciate verdi permette di ridurre i costi di climatizzazione degli ambienti e, secondo studi recenti, anche gli impianti fotovoltaici installati su dei tetti verdi sono più efficienti. “Purtroppo – spiega Gantioler – gli investitori preferiscono ancora optare per soluzioni tecnologiche avanzate piuttosto che scegliere soluzioni basate sul verde. Il motivo è che sembra più semplice valutarne i costi, anche quelli futuri, mentre si tende a pensare che le soluzioni naturali comportino spese consistenti per la loro manutenzione e cura. In realtà è perché le immaginiamo con una visione ‘da giardiniere’, come se dovessero essere curate quasi quotidianamente; ma talvolta basta anche lasciarle in pace”. Non servono parchi con siepi modellate, anche superfici brulle con una vegetazione spontanea sono punti cruciali per la biodiversità.
C’è il rischio che la necessità di decarbonizzare passi in secondo piano. Un altro rischio è la gentrificazione.
Quando un costruttore decide di occupare queste aree con un edificio, si genera una perdita che non può essere compensata coprendo la nuova struttura con un tetto verde o con una facciata di edera (anche se farlo è meglio di niente). “Non avrebbe le stesse funzioni” afferma Gantioler. C’è il rischio che le soluzioni verdi vengano piazzate in cima a una nuova costruzione come misura compensativa finale. Agire così sarebbe più facile rispetto a pensare come preservare e integrare le strutture naturali esistenti. Gli esperti vedono anche un altro pericolo: l’entusiasmo per le soluzioni basate sulla natura potrebbe distrarre dalla necessità urgente di decarbonizzare le nostre città. Questa critica è stata sollevata per esempio a Stoccarda, dopo la realizzazione sperimentale di una parete ricoperta di muschio in uno dei tratti stradali più trafficati (Neckartor). L’obiettivo era intervenire su uno dei più alti livelli di inquinamento da particolato del paese, ma è stato speso molto per mettere “una pezza verde” alla situazione, senza andare alla fonte e chiedersi come ridurre il numero di auto in circolazione (tra l’altro, il muschio troppo esposto al sole doveva lottare per sopravvivere e non è stato rilevato nessun effetto significativo sulla qualità dell’aria).
"I problemi che affliggono le nostre città sono così complessi che non ci può essere una soluzione unica. Bisogna agire con molte leve", conclude Gantioler. Per cominciare potremmo copiare la natura: nelle costruzioni si potrebbero impiegare materiali che, come la superficie di molte piante, riflettono la radiazione solare. Se scelte come queste possano essere considerate “soluzioni basate sulla natura” dipende da quanto strettamente si interpreta la definizione. Ma alcuni aspetti del benessere delle persone non possono essere migliorati con soluzioni imitative. Nei quartieri svantaggiati diversi studi hanno dimostrato che la presenza della "natura" crea comunità, fa crescere il senso di identificazione e appartenenza. Ma è importante considerare che le stesse misure possono avere un effetto completamente diverso a seconda delle condizioni di contorno: negli Stati Uniti è accaduto che quartieri dove sono stati realizzati parchi o piantati alberi in progetti di partnership pubblico-privato hanno sperimentato la gentrificazione: i prezzi delle case sono aumentati e i gruppi a basso reddito si sono visti esclusi. Le città sono diventate più verdi, ma anche meno eque.
Informazioni sul progetto: https://cordis.europa.eu/project/id/101003757