Attraverso la canopy photography, in italiano “fotografia della volta forestale”, si ottengono immagini del tetto di una foresta. In queste foto, rami, foglie e tronchi si alternano a frammenti di cielo in un complesso intrico di pixel, formando un disegno che varia con il tipo di bosco. Se in un bosco composto da soli faggi la luce del sole filtra attraverso numerosi spiragli, i boschi di conifere tendono a schiarirsi in corrispondenza di singole grandi aperture, simili a dei lucernari nel tetto della foresta.
Per realizzare le sue foto, Marco Mina utilizza degli obiettivi fotografici particolari, detti fish-eye. Proprio come l’occhio di un pesce, queste lenti sono caratterizzate da una visuale – in gergo tecnico, angolo di campo – molto ampia, che raggiunge i 180 gradi in tutte le direzioni. Puntandoli verso il cielo, quindi, gli obiettivi fish-eye consentono di avere una visuale sull’intero emisfero celeste e di ottenere fotografie che, proprio per questo motivo, vengono dette “emisferiche”.
Questa tecnica fotografica fu introdotta negli anni Venti del Novecento dal biochimico britannico Robert Hill, il quale la utilizzava per studiare le nuvole. Col tempo, poi, la fotografia emisferica ha trovato applicazione in campi diversi, inclusa l’osservazione delle stelle cadenti e, dagli anni Sessanta, l’ecologia forestale. Oggi, infatti, gli studiosi come Mina se ne servono per ottenere immagini che includano tutte le parti di un bosco, dalla base dei tronchi alla sommità delle chiome.
Una volta ottenute le foto della volta, si torna in ufficio e le si analizza al computer. Per prima cosa, un programma esamina le immagini e colora di bianco il cielo e di nero le chiome, eliminando tutte le tonalità intermedie. Perché questo passaggio vada a buon fine, è necessario che le foto siano state scattate quando il sole era nascosto dalle montagne o dalle nuvole. Il riverbero causato dai raggi solari, infatti, rischierebbe di confondere il programma, portandolo a scambiare il cielo con le foglie e viceversa.