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Ecco a cosa serve una biobanca

Il compito più scontato è conservare campioni biologici, ma le ambizioni sono ben altre

Annelie Bortolotti
© Eurac Research | Annelie Bortolotti
by Valentina Bergonzi

Per quanto tempo si possono conservare i campioni in una biobanca? Quanto si paga per conservarli o per usarli? Chi può accedervi? E cosa c’entra la geopolitica? Le risposte arrivano dal genetista Alessandro De Grandi, responsabile della biobanca di Eurac Research.

Il sorriso di Alessandro De Grandi si allarga quando appoggia il badge sulla scatoletta grigia e la serratura si sblocca. Spalanca la porta e la biobanca si presenta nella sua essenziale solidità. A destra la stanza dove sbuffi di azoto escono come fumo da grandi contenitori cilindrici – i tank – e incrostano di ghiaccio le tubature; di fronte la sala con 30 congelatori; a sinistra tavoli e cappe dove le colleghe preparano i campioni biologici – cioè sangue e urine – per la conservazione.
Il benvenuto di De Grandi è scherzoso: “Una biobanca è per sempre!”
Piuttosto difficile da trovare nel piano interrato dell’Ospedale San Maurizio di Bolzano, dopo varie svolte in corridoi bassi illuminati dai neon, la biobanca di Eurac Research non è una diva da palcoscenico, ma piuttosto una impalcatura discreta su cui si appoggiano le ricerche di oggi e anche di domani.

© Eurac Research | Annelie Bortolotti

“Non siamo collezionisti di francobolli. Il mio cruccio più grande sono i campioni che non sono ancora stati analizzati. Vorrei che ognuno fosse utile per la ricerca”

Alessandro De Grandi, genetista

“L’orizzonte temporale di riferimento per il nostro lavoro è molto lungo”, spiega De Grandi, genetista bolzanino che, dopo anni di esperienze in giro per il mondo, è tornato a casa e ha coordinato la creazione della biobanca. “I campioni più datati che conserviamo qui sono quelli dello studio Micros, che nel 2002 raccolse i campioni di circa 1.500 persone in val Venosta. Lo studio di popolazione CHRIS, di fatto l’evoluzione su ampia scala di MICROS, conta finora su oltre 13mila partecipanti, ha una prospettiva di attività di almeno trent’anni e poi posso immaginare che ci saranno nuove iniziative. D’altra parte, i campioni si possono in teoria conservare e analizzare per sempre”.

I numeri della biobanca

1.068.058

campioni conservati

354

studi autorizzati finora

Biobanche terapeutiche e biobanche di ricerca

Ogni ospedale importante ha una sua biobanca: conserva sacche di sangue per le trasfusioni, midollo osseo e cellule staminali per terapie contro le leucemie, tessuti per trapianti e, in alcuni casi, gameti per la procreazione assistita. Anche l’Ospedale di Bolzano ne ha una, adiacente a quella gestita da Eurac Research. È come una farmacia che invece di dispensare farmaci mette a disposizione materiale biologico cui attingere per i vari trattamenti medici.
“Nelle biobanche destinate anche alla ricerca, le biobanche di popolazione per esempio, il valore non è il campione in sé, quanto le informazioni che se ne possono ricavare”, precisa De Grandi.

Nello studio CHRIS vengono raccolti 37,5 millilitri di sangue a persona – il prelievo vuole essere il meno invasivo possibile pur garantendo sufficiente materiale per gli studi. Una parte del sangue viene conservato intero, per poterne estrarre il DNA in un secondo momento. Il resto viene centrifugato per separare le diverse frazioni, cioè le diverse parti che compongono il sangue.

Composizione del sangue. 55 per cento plasma: principalmente acqua, e poi proteine, ormoni, gas, scarti. <1 per cento: anello di globuli bianchi e piastrine. 45 per cento: globuli rossi.

Queste frazioni vengono poi riposte nei congelatori più adatti: il sangue intero, globuli bianchi e piastrine vanno nei tank, alle temperature più basse, a oltre -150 °C, globuli rossi e plasma vanno nei freezer a temperatura un po’ più alta, -80 °C circa. Qui vanno anche i campioni di urine, circa dieci provette per persona. Con alcune ore di lavoro e circa 500 euro di costi, incluse le spese di personale, tutto il materiale che si riferisce a una persona viene messo al sicuro.
De Grandi è palesemente orgoglioso del grande sforzo fatto per mettere in piedi la struttura, inaugurata nel 2015, e per impostare il processo semiautomatizzato che serve a organizzare i campioni. Ma non si accontenta.
“Non siamo collezionisti di francobolli”, ride. “Il mio cruccio sono i campioni che ancora non sono stati analizzati. Vorrei che ognuno di loro fosse utile”.

alt© Eurac Research | Annelie Bortolotti

Nella biobanca di Eurac Research a Bolzano i frigoriferi a bassissima temperatura sono cinque. Contengono sangue intero, globuli bianchi e piastrine. La temperatura varia dai -80 ai -197 °C e si raffreddano con l’azoto. Ogni anno ne servono circa 10mila litri.

alt© Eurac Research | Annelie Bortolotti

Ogni anno si fanno le pulizie di primavera anche nella biobanca: si controllano i raccoglitori e se sono rimasti spazi vuoti si ridistribuiscono i campioni in modo più ordinato.

alt© Eurac Research | Annelie Bortolotti

I campioni più datati conservati nella biobanca di Bolzano hanno più di vent’anni. Sono quelli dello studio epidemiologico MICROS, che nel 2002 raccolse i campioni di circa 1.500 persone in val Venosta.

L’unione dei dati fa la forza

La biobanca di Eurac Research è open source. Chiunque, inclusi ovviamente i gruppi di lavori interni, può sottoporre un progetto di ricerca al Comitato di accesso per una valutazione etica e pratica. Se tutto va a buon fine, viene richiesta solo la copertura dei costi.
“Possiamo dare sia dati sia campioni, anche se con i campioni siamo più cauti perché sono naturalmente una risorsa finita. In questi casi consegniamo ovviamente il campione minimo e lo riserviamo agli studi che hanno più possibilità di raggiungere un risultato, sia per esperienza e collaborazioni, sia anche per le risorse economiche”, spiega De Grandi. “Ci è già capitato di rifiutare richieste dove le possibilità di successo dello studio erano molto incerte e dunque investire campioni era troppo rischioso”.
Finora le richieste sono state 369, con un tasso di approvazione del 96 per cento.

“Possiamo dare ai ricercatori sia dati sia campioni, anche se con i campioni siamo più cauti perché sono naturalmente una risorsa finita.”

Alessandro De Grandi, genetista

La biobanca di Eurac Research è parte del consorzio europeo BBMRI-Eric, che raccoglie quasi 650 biobanche sparse in 17 paesi, alle quali se ne sommano circa altrettante in Canada e USA e circa 140 nel Regno Unito.
“La nostra biobanca è una delle poche puramente di ricerca. Senz’altro quella che ha il più alto numero di campioni raccolti in un unico sito, la val Venosta”, spiega De Grandi. È un vantaggio perché alcune condizioni ambientali sono più omogenee e si possono analizzare anche le relazioni familiari.
Questo primato però non sempre basta.
In alcuni casi servono grandi numeri per avere potenza statistica ed è indispensabile unire le forze. E così, i dati della biobanca bolzanina hanno contribuito in ampi studi internazionali a definire quali fattori genetici abbiano influenzato la gravità delle infezioni da Covid-19; ad aggiornare la mappa delle regioni genetiche associate alla funzionalità renale; a comprendere meglio il dolore cronico.

Non sempre la collaborazione è stata così intensa.
La prima biobanca è nata in concomitanza con lo studio Framingham, che nel 1948 ha raccolto campioni di sangue da tutta la popolazione di Framingham, cittadina del Massachusetts, USA, per stimare i rischi delle malattie cardiovascolari. È stato poi negli anni Novanta che si sono moltiplicati gli studi epidemiologici con obiettivi mirati, ma che conservavano un po’ di sangue extra per eventuali altre ricerche. “Lavoravo a Lione nei primi anni Duemila, alla Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC - International Agency for Research on Cancer), e ricordo che quasi si trattava di biobanche private. C’era chi le proteggeva come un vero tesoro”, racconta De Grandi. “Poi per fortuna è arrivata la rivoluzione dell’open source, con la grande apertura e la regolamentazione”.
Già, perché la collaborazione, per quanto indispensabile per far progredire la ricerca, non è sempre è una passeggiata.

Privacy e geopolitica internazionale

Nella biobanca di Eurac Research l’attenzione per la tutela dei dati sensibili è giustamente ossessiva. Oltre alle procedure di informazione e raccolta del consenso informato da parte di chi dona i propri campioni, il deposito è protetto da un sistema di anonimizzazione rigoroso. I campioni conservati nei freezer sono contrassegnati da codici QR che in caso di necessità permettono di risalire all’identità della persona. Questa operazione però può essere decriptata solo da svariati passaggi di sicurezza. Per scrupolo il team di ricerca evita persino di usare le mail per comunicazioni sui contenuti sensibili.
Una volta conclusi gli studi che hanno usato i dati della biobanca il Comitato di accesso che li aveva autorizzati rilegge in anteprima le pubblicazioni: non vuole valutare i risultati, ma sorvegliare lo standard etico del lavoro, visto che la biobanca risponde anche dei dati secondari.

I campioni sono contrassegnati da codici QR che permettono di risalire all’identità della persona, ma questa operazione può essere decriptata solo da svariati passaggi di sicurezza.

Anche la geopolitica condiziona le collaborazioni internazionali.
Gli scambi con gli Stati Uniti, per esempio, non erano possibili fino a questa estate perché là non c’è una legge chiara che limiti il collegamento tra dati e soggetti, rispetto al quale il garante italiano per la privacy è particolarmente ristrettivo. Da luglio 2023 è in vigore un accordo, ma è ancora dibattuto.
Sempre gli Stati Uniti, come anche altri paesi, sono stati accusati più volte di atteggiamenti predatori ai danni di popolazioni minoritarie o di paesi poveri: avrebbero fatto incetta di campioni e dati seguendo protocolli non del tutto trasparenti; un fenomeno chiamato “biocolonialismo”.
Dalla Cina arrivano spesso anche a Bolzano offerte economicamente molto vantaggiose per servizi di laboratorio come il sequenziamento dei genomi, ma vengono declinate perché gli sconti in fattura si pagano in garanzie non proprio solide sul trattamento dei dati personali.
“Non possiamo basarci solo sulla fiducia tra chi si occupa di ricerca, servono regole chiare”, conclude De Grandi. “Ma gli scambi non sono una opzione, sono una necessità. Nel futuro? Vedo un ruolo decisivo delle biobanche nello studio degli oncogeni, i geni associati al cancro”.

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