Die CHRIS-Teilnehmerin versucht, die Geruchsprobe zu identifizieren.
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Tra i vari test previsti dallo studio sulla salute CHRIS in corso in val Venosta c’è quello dell’olfatto. Sulla base dei dati di oltre 13.000 persone si possono analizzare le correlazioni tra i disturbi olfattivi, i dati genetici e alcune diagnosi.

© Eurac Research | Tiberio Sorvillo

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“L’olfatto potrebbe servire come sistema di allarme precoce per il Parkinson e l’Alzheimer”

Intervista con il neuroscienziato Johannes Frasnelli

by Barbara Baumgartner

Il neuroscienziato Johannes Frasnelli, visiting professor all’Istituto di biomedicina, studia le connessioni tra cervello e olfatto. In questa intervista spiega come i disturbi olfattivi potrebbero aiutare nella diagnosi precoce delle malattie neurodegenerative, perché i profumi spesso ci fanno viaggiare nel tempo e per quale ragione i dati dello studio di popolazione CHRIS sono un “tesoro” per la sua ricerca.

Cosa succede nel nostro cervello quando sentiamo un odore?

Johannes Frasnelli: A ogni respiro molecole odoranti entrano nel nostro naso, entrano in contatto con i recettori olfattivi nella parte superiore del naso e li modificano in modo tale da creare un segnale elettrico. Questo segnale viene trasmesso al cervello, dove lo stimolo viene elaborato e ne prendiamo consapevolezza. Conosciamo questo meccanismo in parte molto bene, fin nei dettagli, ma alcuni aspetti sono ancora del tutto sconosciuti.

L’olfatto è meno studiato di altri sensi?

Frasnelli: Rispetto alla vista e all’udito, in realtà sappiamo ancora relativamente poco sull’olfatto, anche se molto di più rispetto a qualche decennio fa. La ricerca ha ricevuto un importante impulso nel 2004, quando è stato assegnato il premio Nobel per la scoperta del funzionamento dei recettori olfattivi. Con il Covid, che presenta la perdita di olfatto come sintomo specifico dell’infezione, l’interesse è aumentato ulteriormente.

Il 95 per cento dei pazienti con Parkinson o Alzheimer soffre di disturbi olfattivi.

Johannes Frasnelli

Uno dei punti focali della sua ricerca sull’olfatto è il collegamento con le malattie di Alzheimer e di Parkinson. Che cosa si sa già a questo proposito?

Frasnelli: In generale, associamo le principali malattie neurodegenerative a sintomi molto specifici: per l’Alzheimer si tratta della demenza, per il Parkinson del caratteristico tremore. In entrambe le malattie, tuttavia, anche l’olfatto è fortemente compromesso: il 95 per cento dei pazienti con Parkinson o Alzheimer soffre di disturbi olfattivi. E questi disturbi compaiono da dieci a quindici anni prima degli altri sintomi. È ovviamente molto interessante, perché apre la possibilità di una diagnosi precoce. Ma il problema è che l’olfatto si può perdere per molti motivi diversi. Circa il 20 per cento della popolazione ha problemi di olfatto, ma la maggior parte di queste persone non svilupperà né la mattia di Alzheimer né quella di Parkinson. Ecco perché la nostra ricerca sta cercando di scoprire i modelli specifici di compromissione che si verificano in modo caratteristico per queste due patologie.

Ci sono già le prime indicazioni di questi modelli?

Frasnelli: Nei pazienti affetti da Alzheimer sembra essere compromesso soprattutto il riconoscimento degli odori, cioè la capacità di sentire un odore e di identificarlo correttamente. Anche i pazienti affetti da Parkinson presentano questo deficit, ma la loro soglia di percezione è più alta, cioè percepiscono gli odori solo quando sono relativamente forti. Questi profili di compromissione devono ora essere studiati in modo molto più approfondito. L’obiettivo è riuscire a effettuare prima o poi un test olfattivo nello studio del medico di famiglia, per riconoscere se una persona rischia di sviluppare una di queste malattie. In questo modo potremmo intervenire in una fase molto precoce e cercare di fermare o rallentare la malattia. Questo è l’obiettivo per cui stiamo lavorando.

Quali opportunità di ricerca particolari avete all’Istituto di biomedicina?

Frasnelli: I dati dello studio sulla salute CHRIS sono un tesoro. Sono stati eseguiti numerosi esami, inclusi test dell’olfatto, su circa 13.000 persone. Quindi, in termini di popolazione generale, possiamo analizzare in che misura la riduzione della capacità di sentire odori sia legata al profilo genetico o a determinate diagnosi.

La connessione tra olfatto e malattie neurodegenerative può anche fornire indizi sulla comparsa o lo sviluppo di queste malattie?

Frasnelli: Nel caso delle malattie di Alzheimer e Parkinson sappiamo cosa succede nel cervello – sappiamo cioè quali proteine si accumulano e come questo porti alla morte delle cellule nervose – ma non sappiamo cosa scateni le malattie; ci sono varie teorie al riguardo. Nella malattia di Parkinson, secondo una teoria, ciò che scatenerebbe la malattia entrerebbe dal naso e da lì si farebbe lentamente strada nel cervello in modo distruttivo: i malati presenterebbero dunque relativamente presto disturbi all’olfatto perché i cambiamenti inizierebbero nel bulbo olfattivo e da lì si diffonderebbero alle aree del cervello responsabili dell’attività motoria. Come ho detto, però, si tratta di un’ipotesi. Quello che è relativamente certo è che i cambiamenti patologici nel cervello si verificano in modo graduale, prima nelle aree del cervello legate all’olfatto e solo successivamente nelle altre. Questo potrebbe indicare che qualcosa entra nel naso dall’esterno.

Quanti odori può distinguere una persona sana?

Frasnelli: Non lo sappiamo. Qualche anno fa un articolo scientifico riportava che gli esseri umani sarebbero in grado di distinguere mille miliardi di odori; in seguito alle critiche mosse allo studio, si parlò di qualche centinaio di miliardi, ma ovviamente nessuno lo ha testato. Senz’altro si tratta di un numero inimmaginabile di odori che possono essere distinti da un senso sviluppato in modo normale. Ovviamente, definire un senso dell’olfatto “normale” è in un certo senso anche una questione filosofica. Anche se né io né lei abbiamo particolari problemi, i nostri mondi olfattivi sono certamente molto diversi perché i repertori dei nostri recettori sono diversi.

La parte del cervello dove vengono elaborate le informazioni olfattive e le emozioni è la stessa dove vengono immagazzinati anche i contenuti della memoria.

Johannes Frasnelli

Si può migliorare l’olfatto?

Frasnelli: Sì, è possibile attraverso l’allenamento olfattivo, a qualsiasi età. Abbiamo condotto studi con i migliori sommelier, con aspiranti sommelier, con studenti di psicologia e con persone che hanno perso l’olfatto, e in tutti abbiamo visto che annusare ripetutamente – ci sono diversi compiti – porta a un miglioramento dell’olfatto a lungo termine. Questo allenamento ha effetto non solo sull’olfatto, ma anche sulla struttura del cervello.

In che modo?

Frasnelli: Le aree del cervello responsabili dell’olfatto si ispessiscono. Il cervello si può allenare come un muscolo: per esempio, se si fanno esercizi da giocoliere si modificano le aree cerebrali responsabili, e lo stesso vale per altre abilità. La particolarità dell’olfatto, tuttavia, è che le aree del cervello che elaborano gli stimoli olfattivi sono responsabili anche della memoria e delle emozioni. C’è quindi da chiedersi: è possibile migliorare la stabilità emotiva o la memoria attraverso l’allenamento olfattivo? Dobbiamo ancora scoprirlo.

È per questo che gli odori risvegliano così spesso i ricordi? Perché le stesse aree del cervello sono responsabili degli stimoli olfattivi, della memoria e delle emozioni?

Frasnelli: Esattamente. Si tratta del cosiddetto “effetto Proust”, dal nome di Marcel Proust, che fu trasportato indietro nella sua infanzia dal profumo di una madeleine immersa in una tisana ai fiori di tiglio. La parte del cervello dove vengono elaborate le informazioni olfattive e le emozioni è la stessa dove vengono immagazzinati anche i contenuti della memoria, e per questo motivo ognuno di noi può raccontare aneddoti su come un certo odore abbia scatenato un ricordo emotivo molto forte, un viaggio a ritroso nel tempo, per così dire. Questi ricordi possono essere positivi, come nel caso di Proust, o negativi: per esempio ci sono casi di persone sopravvissute a un incidente stradale in cui qualcuno è morto ustionato che in seguito non possono sopportare un barbecue perché l’odore della carne bruciata riporta alla mente quella esperienza traumatica.

Ciò che rende diverso il “sapore” di una mela e di un ananas sono le molecole olfattive che salgono nel naso e che percepiamo con l’olfatto.

Johannes Frasnelli

Lei ha dedicato un intero libro all’olfatto, che definisce un senso “sottovalutato”: cosa intende dire?

Frasnelli: Potendo scegliere di rinunciare a uno dei propri sensi, la maggior parte delle persone sceglie l’olfatto. Questo è in parte giustificato, perché ovviamente l’olfatto non è così rilevante per noi esseri umani come la vista e l’udito. Comunichiamo attraverso il linguaggio e i gesti, ci guardiamo, ci ascoltiamo, non ci annusiamo. Ci si può innamorare senza aver mai sentito l’odore dell’altra persona, è del tutto possibile. Tuttavia, l’olfatto svolge un ruolo più importante di quanto si creda, e tanto avviene inconsciamente: quando siamo a casa nostra, per esempio, l’odore è quello di casa, non lo notiamo nemmeno, ma quando siamo a casa di qualcun altro l’odore è diverso, e non ci sentiamo più a casa. Un aspetto importante – e un altro esempio di come sottovalutiamo l’olfatto – è il gusto: quello che chiamiamo gusto nel linguaggio colloquiale è un’interazione di diversi sistemi sensoriali in cui l’olfatto gioca il ruolo più importante, perché i profumi salgono nel naso anche da dietro, attraverso la rinofaringe. Con la lingua possiamo distinguere solo cinque gusti: dolce, acido, salato, amaro e umami. Ciò che rende diverso il “sapore” di una mela e di un ananas sono le molecole olfattive che salgono nel naso e che percepiamo con l’olfatto. Se abbiamo un raffreddore gli scambi tra la cavità orale e quella nasale sono molto più ridotti e improvvisamente tutto ha lo stesso sapore, come di cartone. Se l’olfatto è compromesso, mangiare e bere non è più molto divertente.

Qual è l’importanza dell’olfatto nelle relazioni interpersonali?

Frasnelli: Noi esseri umani interagiamo gli uni con gli altri, spesso inconsapevolmente, attraverso odori che emettiamo tramite le nostre ghiandole sudoripare. L’odore del corpo gioca un ruolo importante nell’attrazione tra i partner. Ma questo non è paragonabile alla comunicazione tramite sostanze messaggere, i cosiddetti feromoni, come avviene nel resto del regno animale, dove un odore scatena una reazione in un altro individuo della stessa specie, come se si premesse un pulsante. Esistono molti tipi di feromoni negli animali: feromoni di territorio, feromoni di allarme, ecc. Negli esseri umani, invece, quando si parla di feromoni, ovviamente si parla sempre di una cosa, ovvero di come un uomo possa attrarre una donna. Tuttavia, nell’uomo non sono noti feromoni che agiscano effettivamente come feromoni, cioè che inneschino un determinato comportamento: siamo semplicemente troppo complicati per farlo. Ma la persona A può trovare gradevole l’odore del corpo della persona X, mentre la persona B non sopporta l’odore di X.

In tedesco si dice “non reggo l’odore di quella persona”, per dire che non la si sopporta. Vuol dire che c’è un fondo di verità in questo modo di dire?

Frasnelli: Assolutamente sì. Ma come funzioni esattamente non è del tutto chiaro, né è chiaro cosa venga prima: si trova una persona sgradevole a causa del suo odore, o il capo è semplicemente una persona così sgradevole che basta annusarla per far salire la bile?

Johannes Frasnelli - Lecture sul tema dei feromoni

Johannes Frasnelli, nato a Lucerna e cresciuto a Lagundo, è neuroscienziato e professore di anatomia all'Università del Quebec a Trois-Rivières. Studia il senso dell'olfatto e il suo effetto complessivo sul cervello umano.

Il 14 febbraio 2023 terrà una conferenza pubblica per le scuole superiori nell’auditorium di Eurac Research sul tema dei feromoni.

Nel suo pluripremiato libro “Sentiamo gli odori meglio di quanto pensiamo” descrive in modo comprensibile a tutti come funziona l’olfatto, quale influenza ha sulle nostre emozioni e sul nostro comportamento e quali sono i risultati delle ultime ricerche che hanno a che fare con la nostra vita quotidiana.

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